Due fratelli, due differenti percorsi - Martino e Alberto Piazza.

7) Martino Piazza, Adorazione dei pastori, 1518, ubicazione ignota

8) Martino Piazza, Madonna col Bambino e donatore, Lodi, chiesa di Santa Maria alla Fontana

9) Martino Piazza, Madonna col Bambino e domatore (particolare), Lodi, chiesa di Santa Maria alla Fontana
dunque l'unica fonte cinquecentesca che documenti l'esistenza di almeno uno dei fratelli e da allora fin verso la fine del Settecento il silenzio cala sui due pittori contribuendo a far sì che i loro ricordi si perdano nel tempo. Viene in aiuto una fonte locale, la più significativa in assoluto, che ripercorrendo sinteticamente gli interventi artistici svoltisi nel complesso dell'Incoronata di Lodi, si propone come singolare e utile strumento per la storia della pittura lodigiana tra Quattro e Cinquecento. Si tratta della "Relatione" manoscritta del canonico Paolo Camillo Cernuscolo che, nel 1642 (9), riassume le vicende della chiesa del Incoronata dalla fondazione ai suoi giorni. L'importanza dello scritto risiede nel fatto che egli trascrive i documenti perduti riguardanti la prima fase di attività nel Santuario mariano, dal 1488 al 1516. Per quanto riguarda i nostri pittori, una prima indicazione risale all'anno 1514, quando "Si fanno trattati con i fratelli della Piazza appellati Toccagni per la Pittura della Chiesa". Questo passo, insieme al successivo secondo cui nel "1519 - Alberto, et Martino fratelli Toccagni pittori Lodigiani, accettano il carico di dipingere un Confalone", oltre a confermare la fondatezza del soprannome della famiglia, affianca i due artisti nell'impresa decorativa determinando l'abitudine ad accomunare la loro attività pittorica in un unico, inestricabile lavoro di bottega. Altrimenti la situazione lodigiana non offre che una serie di interessanti documenti sulla storiografia locale (10) nei quali compaiono citate alcune opere riferite a loro, mentre ci troviamo di fronte al semplice ricordo del nome di Albertino sulla scorta del passo lomazziano nell’Abecedario dell’abate Pellegrino Antonio Orlandi e nella Storia pittorica di Luigi Lanzi (11). A partire dalla prima metà del XIX secolo diventano più frequenti i contributi dedicati alla pittura lodigiana, che per la prima volta assume una propria autonomia all’interno della scuola milanese e di quella lombarda. La bibliografia riguardante i due pittori si infittisce, con giudizi legati soprattutto a valutazioni estetiche più che ad una approfondita ricerca storica. Rivestono qualche interesse le guide di Cleto Porro dedicate a Lodi e ai suoi monumenti (12), per il fatto che forniscono alcune informazioni sulle opere nel territorio e il testo di Johann David Passavant (13), tra i primi ad accennare a entrambi gli artisti lodigiani, ritenendone scontata la collaborazione in bottega ma tentando ugualmente una distinzione. Egli assume quale postulato della loro attività il gonfalone dell’Incoronata raffigurante la Vergine, per il quale, come vedremo, esiste l’atto di commissione al solo Alberto. Ma la distinzione di stile avanzata dallo studioso non risulta convincente tanto che la stessa Emma Ferrari parecchi anni dopo affermerà

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