Due fratelli, due differenti percorsi - Martino e Alberto Piazza.

4) Seguace di Martino Piazza (Cesare Magni), Sosta dalla fuga in Egitto, Lodi, chiesa Santa Chiara Nuova

5) Seguace di Martino Piazza (Cesare Magni?), Adorazione dei pastori, 1520, ubicazione ignota, già Milano, Collezione Sessa Fumagalli

6) Seguace di Martino Piazza (Cesare Magni?), Adorazione del Bambino con un monaco e un donatore, ubicazione ignota
presentano origini ed esiti assolutamente differenti, aprendo la strada ad una più vasta comprensione dei rapporti che intercorsero con gli artisti a loro contemporanei. Per meglio comprendere la situazione venutasi a creare è opportuno ripercorrere brevemente le vicende critiche e storiografiche riguardanti i due artisti. Nell’approfondimento della loro attività, verificata la scarsità di notizie documentarie, non ci soccorre neppure alcuna fonte storica a loro particolarmente vicina. La prima notizia dell'esistenza dei pittori Toccagni di Lodi risale ad oltre mezzo secolo dopo la loro scomparsa ed appare nel "Trattato" di Giovan Paolo Lomazzo. L'autore nomina i lodigiani in due passi distinti: una prima volta, incontriamo genericamente il nome del "Toccagno", al termine di un esteso elenco di artisti di varie scuole attivi nella prima metà del Cinquecento (6), in modo tale che la citazione possa essere riferita ad entrambi; forse questi è Martino, dal momento che, più oltre, "Albertino da Lodi" viene espressamente nominato tra gli autori delle raffigurazioni di uomini d'arme nella corte del castello di Milano. Dato l'interesse che riveste, vale la pena riportare il passo nella sua integrità: "De la quale cosa furono ritrovatori Giovan da Valle, Costantino Vaprio, il Foppa, il Civerchio, Ambrogio e Filippo Bevilacqui, & Carlo, tutti Milanesi, Faccio Bembo da Valdarno & Cristoforo Moreto Cremonesi, Pietro Francesco Pavese, Albertino da Lodi; i quali, oltre diverse altre opere loro, dipinsero intorno la corte maggiore di Milano quei baroni armati nei tempi di Francesco Sforza primo Duca di essa città."(7) Il passo si presta ad una duplice interpretazione: quella prevalentemente accolta dalla critica ottocentesca e durata fino a tempi assai recenti, ha inteso questo artista attivo all'epoca di Francesco Sforza (1450-1466), dovendo anche ricorrere allo sdoppiamento della personalità di Alberto in due pittori dai connotati imprecisati, per giustificare l'ampio arco di tempo che si veniva a creare. Altrimenti si è preferito pensare ad un errore da parte del Lomazzo. Nessuno ha interpretato il passo in maniera differente, intendendo cioè che le parole "nei tempi di Francesco Sforza" si riferiscano non tanto al momento di esecuzione degli affreschi ma a "quei baroni armati" vissuti all'epoca del "primo Duca di essa città". Personalmente ritengo che queste perdute figure di uomini d'arme siano state eseguite in momenti diversi, come sembra testimoniato dalla presenza nell'elenco di artisti di differenti periodi. Il fatto che tra costoro Lomazzo ricordi altri pittori contemporanei di Alberto, come Vincenzo Civerchio e "Pietro Francesco Pavese", da intendersi come il Sacchi, non fa che avvalorare l'ipotesi della loro partecipazione ad affrescare condottieri vissuti ai tempi di Francesco Sforza (8). Il Lomazzo appare

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