Due fratelli, due differenti percorsi - Martino e Alberto Piazza.

43) Martino Piazza, San Gerolamo penitente, Milano, collezione privata

44) Martino Piazza, Adorazione del Bambino, Bergamo, collezione privata

le tappe di un percorso che assume interesse anche in virtù delle influenze subite dal pittore e dei rapporti che instaurò con i suoi contemporanei. La datazione dei dipinti potrà rivelarsi più serrata o, anche, più dilatata nei tempi, a seconda della sensibilità di Martino nei confronti delle novità che lo circondano, fatto salvo della sua indubbia originalità compositiva e tematica. L’artista nacque probabilmente prima del 1480 se, come abbiamo visto, nel 1502 risulta già sposato. C’è da ritenere che la prima formazione risalga all'ultimo decennio del Quattrocento, inizialmente nella stessa città di Lodi che offriva notevoli opportunità durante gli anni tra i due secoli, grazie al fervido ambiente artistico che si era creato attorno al cantiere dell’Incoronata.(66) A questi esordi che possiamo congetturare essere avvenuti soprattutto sotto l’influenza delle personalità di maggiore spicco che frequentarono la città, dai Della Chiesa al Bergognone, dovette seguire il periodo maggiormente soggetto agli stimoli derivati dalla situazione figurativa milanese, di suggestione leonardesca. Un artista particolarmente legato al seguito di Leonardo, un suo personalissimo epigono tra una schiera di seguaci, noti e ignoti, che lavorarono sulla scorta delle geniali idee del maestro toscano. Ritengo d’individuare la più antica testimonianza di Martino nella Madonna col Bambino /fig. 8/(67) che segna per ora i suoi esordi artistici, aprendo l’orizzonte verso le componenti culturali precedenti allo stile dei quadri monogrammati. Il dipinto è a tutt’oggi ignoto alla letteratura artistica pur avendo un’attribuzione a collaboratore di Leonardo indicata anni or sono da Mauro Pelliccioli. Se l'ascendente leonardesco infonde l’impronta più pregnante, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto formale legato al modello della Vergine col volto leggermente reclinato e gli occhi abbassati verso il Bambino, l’opera vive sugli esempi della più tradizionale situazione figurativa lombarda allo scadere del Quattrocento. Il suo autore si dichiara buon conoscitore dei modi di Ambrogio Bevilacqua e soprattutto del Bergognone, negli anni dell’impegno lodigiano. La fusione di questi elementi con le novità leonardesche riguardanti lo sfumato non è ancora ben assimilata tanto che al morbido chiaroscuro degli incarnati fa riscontro la pur leggera traccia scura che delimita i contorni. Il riposante paesaggio alle spalle delle figure è compiuto con attenta raffinatezza, sottolineando ogni dettaglio. La medesima discreta eleganza modella le forme delle figure, impreziosite dalla bordura che corre lungo il contorno della veste e dai nimbi in oro, in aggiunta alle leggere pennellate che arricciano i boccoli del Bambino, lasciando che il biancore del sottile brano di pizzo compaia tra il rosato eburneo del collo e il rosso intenso dell’abito. Per questa minuziosa capacità descrittiva e per una serie di

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