Giovanni Agostino da Lodi ovvero l'Agostino di Bramantino: appunti per un unico percorso

27) Giovanni Agostino da Lodi, frammento di Sant'Agnese, Milano, collezione privata

accolto per una serie di elementi che depongono a favore di questa unica possibilità. La prima e più evidente prova viene fornita dalla uguale dimensione delle tre copie, ancora munite della medesima cornice seicentesca, intagliata e dorata, che conferma la contemporanea esecuzione su di un unico modello, uguale anche a quello montato attorno alle altre due derivazioni dei quadri di Bernardino Luini con Sant'Ambrogio e San Martino, conservate anch'esse, in questo caso insieme agli originali, nel Museo della Certosa di Pavia. Tale combinazione dimostrerebbe inoltre la contemporaneità delle derivazioni, comprese quelle dai dipinti di Giovanni Agostino. Questa prima impressione viene suffragata da un significativo aspetto comune ai tre quadri: la raffigurazione dei personaggi avviene su di uno stesso pavimento a grandi piastrelle che unisce le tre scene. Si tratta del medesimo motivo decorativo con mattonelle azzurre e rosse, di forma triangolare, abbinate a due a due per costituire un quadrato, a sua volta incorniciato da una fascia continua bianca. Il taglio compositivo proposto da Giovanni Agostino fa sì che le tre immagini appaiano svolgersi in un unico edificio, parzialmente aperto a loggiato: sembra anzi di assistere ad una rappresentazione nella quale l'artista ha provveduto a sezionare la sua ideazione architettonica lungo un asse verticale, ottenendo una sorta di spaccato degli ambienti dove avvengono gli episodi rappresentati. L'attribuzione ottocentesca al Bergognone della Presentazione al tempio, che appare effettivamente con un impianto più arcaizzante, trova in realtà una plausibile spiegazione nel fatto che il suo autore interpreta e rielabora il prototipo di analogo soggetto che Ambrogio da Fossano realizza tra il 1497 e il 1500 per la chiesa dell'Incoronata di Lodi (84). Come se si trattasse di un omaggio al pittore che dedicò diversi anni della propria attività alla Certosa, la conoscenza da parte di Agostino dell'opera collocata ai suoi tempi nella cappella maggiore del Santuario lodigiano viene a testimoniare che il nostro artista all'epoca del lavoro per i monaci certosini di Pavia era transitato dalla sua città natale. Questo legame con Lodi del suo principale figlio in campo artistico è ben percepibile per altra via osservando i continui rimandi, le frequenti citazioni cui Martino Piazza ci abitua: una personalità questa che dopo le ricerche da me svolte negli ultimi anni, sta acquisendo una singolare dimensione nel contesto della pittura legata all'area leonardesca, ma nella quale si insinua sia per quanto riguarda la rappresentazione del paesaggio, che anch'egli dimostra di prediligere, sia negli effetti luministici, cromatici e nelle tipologie, il tarlo del più significativo maestro di questa terra. Il rapporto che Martino

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