Nei dintorni del Ceruti, una nota sul Bonino

neutra azzurro-grigia e concluso da un timpano dorato che ripeteva il motivo delle singole cornici. Sul pannello i quadretti erano disposti in modo tale che al centro fosse appeso il ritratto - un vero e proprio dipinto a olio su tela - del cardinale di famiglia, evidentemente la personalità più eminente di questo ramo del casato. A raggiera gli facevano corona tutte le altre diciotto effigi, collegate tra loro da una decorazione a listelli dorati, con lo stesso motivo delle cornici che aveva la funzione di accomunarle in un unico ricordo. Anni or sono, tutti questi piccoli ritratti vennero dispersi in varie collezioni: il solo assurto a giusta e meritata notorietà è quello che raffigura don Benedetto, parroco della basilica milanese di San Simpliciano,(4) dove la famiglia Martignoni possedeva un sepolcro nel XVII secolo, (5) e dove l'autore stesso del ritratto - il Ceruti appunto - morì e venne sepolto nello stesso anno di esecuzione (1767). E possibile che il pittore abbia accettato l'incarico proprio in quanto, vivendo nella stessa parrocchia, conosceva personalmente il parroco. Il ritratto risale al mese di giugno mentre l'atto di morte del registro di San Simpliciano è del 28 agosto; si tratta, in pratica, di una delle ultime cose eseguite dal Ceruti. Della medesima serie fanno parte le effigi di don Cesare e di don Federico Martignoni, il primo vicario della Congregazione di San Gerolamo, l'altro più semplicemente prevosto della Congregazione religiosa teatina di Como. I dipinti sono entrambi firmati e datati sul retro, rispettivamente 1767 e 1768; essi costituiscono la sola testimonianza certa dell'attività di un artista finora sconosciuto, il Bonino, che deduciamo dovette essere verosimilmente originario di Varese; infatti egli si sigla indifferentemente `Boninus" o "Bonini pinxit Varisj".(6) Don Cesare Martignoni è raffigurato col busto di tre-quarti rivolto verso destra, mentre mostra un orologio con entrambe le mani; la manica bianca segue l'andamento curvilineo dettato dal supporto pittorico, fino a concludersi all'altezza della mano sinistra, d'un rosa perlaceo. Lo strumento è visto in scorcio, sostenuto dalle dita che ne indicano lo stupendo quadrante, lucente di bagliori policromi, forse posto in primo piano a significare, memento inesorabile, il trascorrere del tempo. I toni freddi del fondo, cupo da un lato e tendente a un grigio acquamarina, pongono in forte evidenza l'intensità magnetica dello sguardo fisso e austero del nobile vicario. Le gote arrossate, i capelli leggermente arruffati e l'aria estremamente sicura, che non lascia spazio alla minima incertezza, forniscono all'immagine del personaggio un aspetto umano e insieme quel caratteristico piglio originale di leggiadra freschezza

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