Il Romanino di Nova e il 'Cristo e l'adultera'

1) Gerolamo Romanino, San Rocco fra i Santi Cosma e Damiano, Nicola da Bari e Antonio Abate, Brescia, Pinacoteca Civica Tosio Martinengo

Il monumentale lavoro critico e filologico di Alessandro Nova ha finalmente visto la luce dopo anni di rinvii. Gli sforzi del nuovo editore, Umberto Allemandi di Torino, col contributo della Cassa Lombarda, hanno reso possibile la realizzazione dell'auspicata monografia dedicata a Girolamo Romanino, artista non tra i più conosciuti del nostro Rinascimento, ma certo fra le personalità più interessanti della pittura settentrionale. Originario di Brescia, dove nasce tra il 1484 e il 1487, il pittore si forma agli inizi del '500, oltre che sui ricordi della lezione foppesca, grazie al giovanile soggiorno a Venezia, seguito da quello a Padova, a contatto con le novità di Giorgione, del giovane Tiziano e degli altri numerosi artisti, anche nordici, che si fecero attrarre in laguna dal fervido ambiente culturale. Il Romanino è una delle personalità più rappresentative del panorama figurativo bresciano, certamente la più espressiva e originale. La sua pittura rispecchia le caratteristiche del suo carattere schivo e dell'estro bizzarro, documentato dai contrasti con i committenti, dagli insuccessi e dalle incomprensioni subite nel corso della carriera. Nova respinge giustamente l'interpretazione del pittore popolaresco e dalla parlata rusticana, avanzata in passato, a favore dell'umore anticlassico e dell'atteggiamento di fronda dovuto probabilmente al dilemma vissuto dal Romanino se aderire ai modelli aulici del classicismo veneziano di Giorgione e Tiziano o distaccarsi da essi. Questa prolungata e lacerante tensione dovette essere la linfa vitale della sua arte. Forse anche altre motivazioni stimolarono il Romanino ad affrontare un percorso più difficile, facendolo primeggiare nell'interpretazione originale ed eterodossa in chiave grottesca. Nell'approfondita ricerca svolta dall'autore assume particolare interesse la considerazione, sviluppata nel saggio critico, circa l'ipotesi di un contatto tra il Romanino e il monaco scrittore Teofilo Folengo. Attraverso la documentata frequentazione da parte del Romanino della Congregazione benedettina riformata, Nova ricostruisce con grande intuito i probabili rapporti fra i due offrendoci, come lui stesso afferma, una chiave di lettura (perché solo di questo si tratta) per chiarire le ragioni del deciso mutamento di rotta registrato dall'opera del pittore bresciano intorno al 1519-1520 (p. 38). Sono infatti diverse le concomitanze, non ultima quella della loro contemporanea presenza nel monastero di Santa Giustina a Padova: il pittore per eseguire l'Ultima cena e la grande pala per l'altare maggiore della chiesa e Folengo di passaggio proveniente dal convento di Brescia e in attesa di scrivere il suo capolavoro, Baldus, pubblicato nel 1517. Più discutibile è la considerazione, avanzata del Nova di un cambiamento dello stile verso il 1519: Romanino è pittore vero che esprime se stesso senza compromessi e la

AVANTI

1 - 2 - 3 -